martedì 27 gennaio 2009

Il Ros rivela: Mastella sotto controllo prima del via libera del pm

Vi invito a leggere l’articolo che di seguito riporto, pubblicato oggi 27 gennaio, a pagina 7 del Mattino, a dimostrazione del fatto che, in questo Paese, bisogna avere fiducia nella Giustizia.

«I dati acquisiti nei confronti di numerose persone fisiche e giuridiche erano gestiti unicamente presso lo studio Genchi». La conferma dell’esistenza della banca dati di Genchi arriva il 30 settembre scorso quando il colonnello Pasquale Angelosanto, comandante del Reparto Indagini Tecniche del Ros di Roma, viene sentito, per ore, dai pm salernitani Nuzzi e Verasani. E parla. È una banca dati con utenze telefoniche intestate a parlamentari, magistrati, vertici dei servizi segreti, molte utenze coperte dal segreto di Stato. Ne sapeva niente De Magistris, chiedono i due pm, di questa banca dati? Risponde Angelosanto: «Come ho riportato nelle annotazioni del 17 marzo, 23 aprile e 3 giugno 2008 i dati erano gestiti unicamente presso lo studio Genchi». Ma c’è il capitolo dell’acquisizione del traffico telefonico dell’ex ministro Mastella che il colonnello del Ros descrive. Il consulente di De Magistris, «sapeva» fin dal 23 marzo 2007 che l’utenza telefonica 335/12827... era in uso all’allora ministro di Giustizia. E che solo un mese dopo, il 20 aprile, avrebbe chiesto all’ex pm di Catanzaro di acquisire il tabulato con le telefonate di una utenza a lui già nota: primo, perchè lo stesso Genchi ascolta intercettazioni della procura di Lametia Terme nelle quali Mastella dialoga direttamente con l’indagato Antonio Saladino; secondo, perchè la Tim gli aveva già segnalato l’appartenenza di quel numero intestato «Camera dei Deputati» nell’ambito della consulenza per il processo Poseidone. Mastella controllato illegalmente dal consulente Genchi? Secondo il Ros dei Carabinieri decisamente sì. Perchè Genchi «sapeva» bene, scrive Angelosanto alla procura generale di Catanzaro, che «per riferimenti inequivoci, diversi e plurimi quel numero era registrato nel cellulare sequestrato a Saladino come «Mastella C», poi come «Clemente Mastella» e un’altra ancora come Mastella» fino all’indicazione di un indirizzo di posta elettronica di un collaboratore del ministro. Le risultanze dei Ros, contenute nella relazione del 12 gennaio 2008, vengono spedite alla procura generale di Catanzaro che, nell’ottobre del 2007, aveva incaricato proprio il Ros di verificare tutte le operazioni svolte a Catanzaro da Genchi. Non solo, ma con un supplemento di delega investigativa, due magistrati calabresi Garbati e De Lorenzo, chiedono anche di verificare anche se fossero stati chiesti da Genchi i tabulati delle telefonate di Massimo Giacomo Stellato «in servizio presso l’ex Sismi e indagato nel processo Why Not» con tutti i contatti, in entrata e in uscita, «con numeri telefonici riservati per ragioni di sicurezza nazionale». È il 30 ottobre 2007, la procura generale di Catanzaro revoca la nomina a consulente del pm De Magistris a Gioacchino Genchi e si affida al Ros per «controllare» tutta l’attività del consulente. In Calabria vogliono «approfondire» il ruolo e i compiti svolti, su delega di De Magistris, dal consulente; a Salerno, invece sostengono che l’attività del pm De Magistris di acquisizione dei dati di traffico telefonico «è risultata aderente ai principi fissatui dalla Cassazione in materia» e che sono «legittime» le risultanze degli accertamenti svolti da Genchi su incarico del pm.
Antonio Manzo
da il Mattino
27 gennaio 2009

venerdì 16 gennaio 2009

Mastella, un anno dopo le dimissioni

Dal Tempo di oggi 16 gennaio 2009, riprendo e pubblico l’intervista rilasciata al quotidiano romano ad un anno dalle mie dimissioni da Guardasigilli.

«Mi dimetto perché tra l'amore per la mia famiglia e il potere scelgo il primo». Esattamente un anno fa Clemente Mastella pronunciava queste parole nell'Aula di Montecitorio. Erano le 10.45. Il ministro della Giustizia del governo Prodi annuncia le sue dimissioni con un discorso, forse il più difficile della sua vita. È un Mastella profondamente amareggiato, deluso e livido di rabbia quello che interviene quel giorno alla Camera. Il governo Prodi cade, ci sono le elezioni politiche ad aprile, vince Silvio Berlusconi. È passato un anno, da quel 16 gennaio. Eppure in Clemente Mastella un po' di rabbia c'è ancora. Anzi, lui la chiama in gergo napoletano «la cazzimm». Ricordando quelle ore, riaffiora anche «tutta la crudeltà» della vicenda, «mai vista in 32 anni di Parlamento».
È vero che decise da solo di dimmettersi?
«Sì, ma perché io ho sempre avuto, nella mia fierezza di uomo sannita, il senso delle istituzioni».
Qualcuno non provò a farle cambiare idea?
«Sì, ma è stato fermato dalle mie obiezioni. Non poteva un ministro della Giustizia, con la moglie di fatto in carcere, rimanere al suo posto».
Sembra ancora molto arrabbiato.
«Guardi, la cosa che mi disturba dal punto di vista umano, con la conseguente considerazione politica, è stata l'assenza di tutto il governo. Tranne Vannino Chiti che ringrazierò sempre».
Non la chiamò nessuno della sua coalizione?
«Se è per questo incontrai anche Prodi dopo, ma in quei casi si sta vicini ad un ministro che si dimette, tra l'altro era il ministro della Giustizia. Possibile che avessero tutti da fare quella mattina? Ricordo ancora le parole di Di Pietro...».
Le ricordo anche io, invitava la magistratura ad andare avanti con l'inchiesta.
«Per l'esattezza disse: chi è causa del suo mal compianga se stesso».
Compianga?
«Sì, compianga. Conosce no, l'impianto lessicale di Di Pietro?».
Esiste un colpevole secondo lei?
«Ci sono sicuramente più fattori. Sa dov'è la stranezza?».
Dove?
«Se io avessi avuto qualche scheletro nell'armadio, secondo lei, sarei andato a fare il ministro della Giustizia?».
È passato un anno. In cosa è cambiata la sua vita?
«Sto ritrovando ora un po' di serenità, dopo momenti terribili che non auguro davvero a nessuno. Lo status in cui mi trovo oggi è quello di rifugiato politico, altro che Cesare Battisti».
Come vanno ora le cose a casa sua?
«Diciamo che anche lì va molto meglio. Ma si rende conto che mio figlio è venuto una sola volta su un volo di Stato e per questo sono finito al tribunale dei ministri?».
Sì, ma i voli di Stato non dovrebbero servire per andare a vedere una gara di formula uno...
«Certo. Ma come mai altri figli fanno telefonate particolari, o sono al centro di vicende giudiziarie, e verso di loro non c'è tutta la cattiveria usata nei miei confronti?».
Veniamo a colui che lei, in un'intervista, ha definito «un po' una mia creatura», Riccardo Villari. Pare proprio incollato alla poltrona?
«E ha ragione. Su questo io la penso come Pannella, e cioè che mandarlo via sarebbe una violenza alle istituzioni».
Altra questione: ma quel famoso accordo tra lei e Berlusconi, ci fu o no?
«L'unica cosa che le posso dire è che io vidi Berlusconi 20 giorni dopo la caduta del governo. Di quell'incontro Berlusconi, poi, diede una versione non fedele alla realtà».
Ecco, allora la dia lei.
«Lo farò nel libro a cui sto lavorando».
Un'anticipazione?
«Nonostante il mio affetto per il suo giornale - Il Tempo era il giornale, insieme al Mattino, che leggevo da ragazzo - mi consenta di rimanere vago su questo».
D'accordo, glielo consento. Quando uscirà questo libro?
«Tra un paio di mesi».
Intanto però, ad un certo punto sembrava fatto anche un contratto per lei in Mediaset.
«Non mi risulta. Ho resistito a ben altri regali, tanto per essere chiaro».
Com'è il suo rapporto con Casini?
«Buono».
Un po' vago.
«Cosa vuol sapere? Se andiamo insieme alle europee?».
Beh, per esempio.
«Vedremo. Ci stiamo riprendendo essendo stati messi a dura prova. Però ad una condizione, che ognuno sia generoso».
Che significa?
«Che non si tratta di incamerare nessuno. Bisogna trovarsi tutti insieme. Certo che comunque per quelli del Pd, lì sarà dura. Voglio vedere come se la caveranno, ora che non ci sono più i piccoli partiti, ora che perdono consensi, non c'è più Mastella che rompe le scatole, con chi se la prenderà Veltroni adesso?».
Sta seguendo le vicende del Pd in Campania?
«Possiamo distinguere Napoli dal resto della Campania? Non è giusto generalizzare su tutto. Le posso fare un esempio?
Prego.
«I rifiuti: ma lo sa che Ceppaloni è al 70% con la raccolta differenziata. E che molte altre città non hanno avuto problemi con i rifiuti? Non è giusto fare di tutta l'erba un fascio. E poi la classe politica, all'ordine dei medici di Napoli manca da mesi un presidente perché non si mettono d'accordo. Come vede non sono solo i politici».
Sta dicendo che quindi è un problema di mentalità generale della città?
«Esiste ed è inutile negarlo».
Sì ma gli indagati nella classe politica ci sono?
«Non mi esprimo a riguardo».
Neanche su Renzo Lusetti, persona che consosce bene?
«No. Spero solo che possa spiegare tutto».
Ora che farà, rimarrà sulla riva del fiume aspettando che passi il cadavere?
«Più che come il cinese mi sento come il conte di Montecristo».
Intanto, zuccotto di lana in testa, fa le telecronache del Napoli per "Quelli che il Calcio".
«Mi diverto molto, e lo zuccotto domenica scorsa me l'hanno dato perché faceva freddo. Che sia chiaro, dalla Rai non prendo una lira».
Giancarla Rondinelli

lunedì 29 dicembre 2008

Due articoli su cui meditare

Per chi è senza pregiudizio e desidera vedere le cose per come realmente stanno, il mio invito è di leggersi l’articolo del Giornale del 28 dicembre a firma Federico Novella e la mia intervista, pubblicata il giorno prima dal Corriere della Sera e rilasciata ad Aldo Cazzullo.

Di Pietro e Mastella jr: due figli, due “sentenze”

di Federico Novella
Da Il Giornale
28 dicembre 2008


Tutti uguali, questi figli di papà. Ogni scarrafone è bello a babbo suo. Di questi tempi la cronaca giudiziaria ce ne ha fatti conoscere in particolare due, di rampolli, che sembrano fatti con lo stampo. Prendi Di Pietrino e Mastellino: due vite parallele, due biografie fotocopia, due curricula identici spiccicati, come no. Vogliamo scommettere? Vogliamo fare il confronto? E facciamolo. Cominciamo dal carattere. Elio Mastella, 30 anni: ai tempi delle indagini sul padre da parte della procura di Santa Maria Capua Vetere, combatte in piazza, a Ceppaloni: «Mio padre non è un boss, spulciatemi pure». Cristiano Di Pietro, 35 anni: in questi giorni di accuse pure lui combatte, nel salotto di casa sua, a Montenero, davanti al capitone alla brace, giocando a tressette con gli amici suoi e del papà Antonio. Stessa tempra, stesse abitudini battagliere, dunque. Elio Mastella va in tv e parla subito fuori dai denti, respinge le accuse al padre, e in un celebre video che ha sbancato Youtube zittisce l'inviato delle Iene Sortino: «Io sono ingegnere a 24 anni, tu lavori in tv e sei il figlio del commissario dell'Autorithy per le comunicazioni, di che vogliamo parlare?». Uguale natura Cristiano Di Pietro: oggi si limita a dire che «mi ha travolto una valanga», ma poi basta perché tanto a rilasciare dichiarazioni ci pensa il papà Antonio. Già, tutti uguali, questi figli di papà. A 19 anni Elio Mastella si diploma al liceo scientifico statale di Benevento. A 19 anni Cristiano Di Pietro di scientifico ha una cosa sola: la scelta della leva militare, trascorsa casualmente in polizia al tribunale di Milano, nella scorta del papà Antonio. Arriviamo così ai 20 anni, quando Elio Mastella studia ingegneria all'università di Napoli, condivide un appartamento con cinque studenti a Fuorigrotta, 250mila lire a testa la rata d'affitto. A 20 anni Cristiano Di Pietro condivide il primo lavoro del papà Antonio, giura da poliziotto alla presenza di Saverio Borrelli e del papà Antonio, poi si stabilisce a Milano in un appartamento affittato dalla Cariplo al papà Antonio. A questo punto ci pare chiaro che son tutti uguali, questi figli di papà. L'unica differenza, al massimo, è che Elio porta gli occhiali, e Cristiano no. Ma per il resto, stessa storia, stessi percorsi, davvero due carriere indistinguibili. A 22 anni Elio Mastella prepara la tesi ingegneristica a Bruxelles, e concepisce un logaritmo per controllare i sottotitoli dei film. A 22 anni Cristiano Di Pietro concepisce il diploma da privatista all'istituto tecnico di Pratola Peligna, voto 39 su 60, prova finale a porte chiuse per motivi di sicurezza, d'altronde è il figlio del papà Antonio. Potremmo continuare all'infinito: due vite equivalenti in tutto e per tutto. Ma proseguiamo: a 25 anni Elio Mastella si laurea in Ingegneria Elettronica a Napoli con il massimo dei voti. A 25 anni Cristiano Di Pietro si sposa con il massimo del giubilo, in presenza del questore di Bergamo e del papà Antonio, con annessa festa nella masseria del papà Antonio, non lontano dall'attico di 173 metri quadri dove andrà ad abitare, ovviamente un regalo del papà Antonio. E ancora. A 26 anni Elio Mastella fa il pendolare, lavora nell'azienda Selex, e percorre ogni giorno 48 chilometri. A 26 anni Cristiano Di Pietro percorre invece la strada verso casa, perché pur essendo poliziotto di prima nomina, viene magicamente trasferito in un baleno dalla Lombardia a Vasto, a due passi da papà Antonio. Tutti uguali, questi figli di papà. Oggi Elio Mastella lavora in una grande impresa, stipendio 1.800 euro al mese, inquadrato come dipendente nel settimo livello. Mentre Cristiano Di Pietro oggi è inquadrato come consigliere comunale nel paese di papà Antonio, consigliere provinciale nella provincia di papà Antonio, iscritto al partito di papà Antonio, ha saputo coltivare ottimi rapporti con l'ex ministro dei Lavori pubblici, cioè il papà Antonio. Tutto questo per dire che, almeno stavolta, i luoghi comuni sono azzeccati: è vero, è la solita razza, i soliti privilegiati, sono tutti uguali, questi figli di papà. Se poi il papà si chiama Antonio, diventano persino più uguali degli altri.

* * *

Mastella: io al posto di Di Pietro jr? Non oso pensare cosa mi avrebbero fatto

L' ex ministro: c' è doppiopesismo giudiziario, io cornuto e mazziato A Di Pietro pare che tutto sia concesso Sembra che molti ne abbiano paura Prodi è l' altra vittima di tutte queste vicende politiche e giudiziarie Per molto meno mia moglie Sandra è stata arrestata e io ho lasciato il ministero Si arriva al punto che per sputtanare Villari dicono che è amico di Mastella

di Cazzullo Aldo
Da Il Corriere della Sera
27 dicembre 2008


ROMA - «Se avessi fatto io quel che ha fatto il figlio di Di Pietro? Non oso pensare cosa sarebbe successo. Invece per molto meno mia moglie Sandra è stata arrestata, e io ho dovuto lasciare il ministero della Giustizia, il partito, la carriera politica. Le nostre “non raccomandazioni”, per altro presuntive, molto presuntive, non sono mai andate a buon fine. Dalle mie parti si direbbe: cornuto e mazziato. Invece quelle di Di Pietro junior erano raccomandazioni reali, vere, e realizzate. E' difficile, per il provveditore alle opere pubbliche, dire no al figlio del proprio ministro. Ha letto le intercettazioni? ”Siccome è amico tuo, gli diamo il 10% invece del 7...”. Eppure il padre è ancora al suo posto, e il figlio pure. Mica voglio l' arresto per Cristiano Di Pietro, per carità. Sono perdonista con tutti. I figli so' piezzi ' e core. Ma sia chiaro: tutti i figli, non solo i figli di. Siamo davanti a un vero e proprio doppiopesismo giudiziario. Mia moglie, e tanti miei amici, sono stati arrestati forse perché non erano figli di papà...». Da quando è esploso il caso giudiziario in Campania, Clemente Mastella ha taciuto. Almeno finora. «Io non mi permetto di fare valutazioni su Bassolino e Iervolino. Ma mi pare evidente che a volte si confonda il malaffare con la normale dialettica politica. E' il mio caso. Il meccanismo per cui io sarei il concussore di Bassolino, che si dichiara non concusso. I tempi sono talmente grigi che ci si deve difendere pure dall' accusa di aver conosciuto delle persone; così a un uomo perbene come Nicola Mancino viene contestato se avesse conosciuto o meno Saladino. Anche qui, il doppiopesismo. Quando a maggio dissi, ripetendo quanto aveva scritto un quotidiano, che Di Pietro conosceva bene Saladino, lui negò. Poi venne fuori che era vero. Ora, è consentito al leader della morale che più morale non si può dire bugie? E' consentito a un politico mentire impunemente? In America Gary Hart si giocò la Casa Bianca. In Italia a Di Pietro pare che tutto sia concesso. Sembra quasi che molti ne abbiano paura. Vedendo quel che mi è capitato, hanno anche un po' ragione». «La realtà è che io ero e resto una persona perbene, e non ho mai preso una tangente in vita mia. Eppure sono l' unico leader di partito cui in questi quindici anni si è applicato il vecchio teorema per cui non potevo non sapere. Sono stato l' unico ministro della Giustizia al mondo intercettato in contemporanea, a Santa Maria Capua a Vetere come a Catanzaro, e forse anche in altre procure. Spiato, come hanno verificato i Ros dei carabinieri, anche irregolarmente. Leggo che Di Pietro, incredibile medium giudiziario, presentì un anno prima che ”c' erano problemi con Mautone”; leggo che un uccellino parlava con lui come gli uccellini parlavano con san Francesco; leggo che riuscì, come gli antichi aruspici, a cogliere lo stormir di foglie. Se tutto questo fosse accaduto anche a me, avrei interrotto qualsiasi comunicazione, sarei divenuto più ermetico di un filosofo presocratico, sarei - mi consenta, per dirla con il Cavaliere - ancora al mio posto. Ma io non sono stato avvertito, anzi nel mio caso ci sono state manine che hanno messo e tolto, suggeritori occulti che sono andati al di là di ogni confine, morale e giuridico. Come si spiega altrimenti la presenza di un fotografo all' aeroporto militare, per riprendere me e mio figlio mentre saliamo a bordo di quel benedetto volo? Altro che complotto: mi hanno massacrato per eliminarmi. Ormai ne sono pienamente consapevole, e farò di tutto per dimostrarlo, in qualsiasi sede. In fondo mi battevo per far convivere magistratura e politica nelle loro autonomie; invece ha vinto chi vuole la guerra». Mastella è il precursore dei guai che sta passando il centrosinistra al Sud, dalla Campania a Catanzaro, dove De Magistris aprì l' indagine su di lui e su Prodi. «A dir la verità, De Magistris disse a una persona di fiducia - e quando verrà il tempo dirò chi è e la chiamerò a testimoniare - che mi riteneva pulito, estraneo ai giochi sporchi. Da questo giro di soldi tra Bruxelles e il Sud Prodi era fuori, e io ero fuorissimo. Prodi è l' altra vittima di tutte queste vicende politiche e giudiziarie. Basta con questa storia che io sarei l' artefice della caduta. Altri hanno usato le mie disgrazie, umane, familiari, politiche, per togliermi il ministero e alla fine far fuori il governo». Chi? Berlusconi? O i capi della sinistra che non volevano più Prodi? «Non lo so. Credo che Berlusconi in questa vicenda non c' entri, anche se ne ha beneficiato, eccome se ne ha beneficiato. Il mio patto di fedeltà a Prodi è durato fino a quando non si è chiuso il complotto, che è stato scientifico. Ho scoperto proprio in questo periodo che in giro, durante le indagini - e non parlo di magistrati inquirenti - si chiedeva: “Ma lei perché sta in un piccolo partito? E' mai possibile che un piccolo partito debba decidere le sorti dell' Italia?”. Intanto, proprio in questi giorni, il mio consigliere provinciale a Caserta, Giacomo Caterino, da cui è partita tutta la vicenda delle intercettazioni, uno che si è fatto venti giorni di galera e tre mesi ai domiciliari, è stato prosciolto dal gup. Lui stesso ha detto a un quotidiano locale: “Se non fossi stato amico di Mastella non avrei avuto questi problemi, è Mastella che volevano fregare”. Il gip che si dichiarò incompetente ma determinò l' arresto di mia moglie nei giorni del conflitto tra me e De Magistris chiedeva all' Anm di convocare assemblee di solidarietà a Catanzaro, e mandava ai colleghi mail contro di me firmate “il Giudice condannato” o anche “The Condamned”. Nelle intercettazioni io dicevo “fatti autorizzare a votare per me”, ma ad Annozero trasmettevano solo il ”fatti autorizzare”, sottintendendo chissà quale malefatta...». «Doppiopesismo tra me e Di Pietro, e doppiopesismo pure tra me e le giunte Bassolino e Iervolino. Ora dai vertici si chiedono dimissioni sia in Regione sia in Comune, con la motivazione che il consenso e l' azione di governo sarebbero viziati dall' illegalità, dall' immoralità. Un anno fa - quando io fui trattato come il capo di un' associazione a delinquere, il Provenzano di Campania, e il mio partito come una banda di criminali, come neppure la Dc di Tangentopoli -, i miei alleati se mi consideravano onesto avrebbero dovuto difendermi, montarmi la guardia, costruire una garitta davanti alla casa di Ceppaloni. Viceversa, non avendomi difeso, avrebbero dovuto chiedere le mie dimissioni e lo scioglimento del Parlamento. Eppure per me la gente si mobilitò, come si è mobilitata per il sindaco di Pescara. E la gente non va in piazza per i delinquenti. Non a caso, il sindaco è stato scarcerato con tante scuse; e solo adesso il Pd lo difende, in un primo tempo l' aveva abbandonato. Dopo tutto quello che è accaduto, sia chiaro che non posso essere l' attaccapanni cui appendere tutti i panni sporchi. Si arriva al punto che, per sputtanare Villari, dicono che è amico di Mastella; dimenticando che è stato amico di Buttiglione, di Rutelli, di De Mita, di Veltroni. Basta. Il male che mi è stato fatto è troppo grande. Nel 2009 si cerchino un altro capro espiatorio». Aldo Cazzullo Perdonismo e «figli di» Mica voglio l' arresto per Cristiano Di Pietro. Sono perdonista con tutti. I figli so' piezzi 'e core. Ma sia chiaro: tutti i figli, non solo i figli di. Mia moglie e tanti miei amici sono stati arrestati

venerdì 3 ottobre 2008

...a proposito di Santa Maria Capua Vetere

Leggo stamani su Panorama, a pagina 60 un articolo di Giacomo Amadori dal titolo “Rivincita per Clemente” su alcune vicende relative alla procura di Santa Maria Capua Vetere. Lo ripropongo qui di seguito integralmente senza aggiungere altro. Fatevi la vostra opinione.

Rivincita per Clemente

Faide in procura. Finiscono sotto indagine i giudici che fecero arrestare la moglie di Mastella dopo gli esposti e le denunce di alcuni colleghi. Perche i magistrati di Santa Maria Capua Vetere sono spaccati. Sulle inchieste da condurre, ma anche, forse, per ragioni politiche.

I magistrati della procura di Santa Maria Capua Vetere che hanno indagato su Clemente Mastella e hanno firmato la richiesta d’arresto di sua moglie, Sandra Lonardo, sono finiti sotto inchiesta a Roma. Le accuse (abuso d’ufficio, omissione di atti d’ufficio, ma si parla pure di calunnia) non riguardano direttamente quel procedimento, ma vicende che a esso si intrecciano. Nelle scorse settimane il pm romano Giancarlo Amato ha inviato diversi avvisi di garanzia. Due sono stati recapitati all’ex procuratore sammaritano Mariano Maffei (oggi presidente della commissione tributaria regionale, che dichiara: «Ufficialmente non mi risulta niente. Ma anche se fosse, questa notizia costituirebbe una grave violazione del segreto istruttorio») e al pm Alessandro Cimmino. Entrambi avevano firmato la richiesta di misura cautelare per Lonardo. Sono finiti sotto indagine anche i pm Maria Di Mauro (accusata da alcuni colleghi di conflitto d’interessi per un paio di inchieste sulla asl di cui il marito è consulente legale) e Luigi Landolfi.
Le informazioni di garanzia sono la conseguenza di una guerra intestina alla procura, non accuse di mobbing esposti, denunce e inchieste che sono stati esaminati nei mesi scorsi dall’ispettorato del Ministero della Giustizia, dalla procura generale di Napoli e dal Consiglio Superiore della Magistratura. E ora sono finiti sul tavolo di Amato e del collega Antonangelo Racanello che si occupa di un filone collegato.
A gennaio la procura casertana era diventata la più famosa d’Italia. Infatti, dopo aver ottenuto l’arresto di Lonardo, presidente del consiglio regionale, aveva causato le dimissioni di Mastella che hanno portato alla caduta del governo Prodi.
Per l’ex guardasigilli dietro quell’inchiesta c’era un mandante politico e aveva sottolineato i rapporti di parentela di Maffei con Alessandro De Franciscis, nipote della moglie e presidente della Provincia di Caserta ex papavero dell’Udeur passato al Pd. Ma la sua era sembrata una difesa d’ufficio. Gli avvisi di garanzia spediti dalla capitale ribadiscono, invece, che in quella procura qualcosa, forse, non funzionava per davvero.
A mettere in moto l’inchiesta è stato un esposto inviato 10 mesi fa alla procura generale di Napoli da tre magistrati di Santa Maria Capua Vetere: il procuratore aggiunto Paolo Albano, i pm Donato Ceglie e Filomena Capasso. Nel documento parlavano di «un clima insostenibile di sospetti, di comportamenti vessatori, di illecite indagini condotte su colleghi del medesimo ufficio, tra i quali gli scriventi, e di iniziative spesso estranee a qualsiasi perimetro legale di corretto esercizio della funzione giudiziaria». Comportamenti che avrebbero dilaniato la procura: «Un tale complesso di reiterate, indebite e ingiustificabili condotte poste in essere dal procuratore Mariano Maffei, con il concorso e il sostegno di tre suoi “fidati” sostituiti i dottori Maria Di Mauro, Alessandro Cimmino e Luigi Landolfi, non poteva non riverberarsi, con conseguenze non più rimediabili, sulla serenità di molti dei magistrati in servizio, nonché sulla corretta condizione della procura». Non basta. Per loro ci sarebbe stato un «accanimento nei confronti di coloro anche solo sospettati di non essere omologhi alla volontà di chi lo dirige».
Ora i pm romani dovranno stabilire se queste accuse siano veritiere. Una cosa è chiara: a Santa Maria Capua Vetere nei mesi scorsi si sono fronteggiati due schieramenti di magistrati con visioni molto diverse sulla conduzione delle inchieste e su chi indagare. Da una parte Maffei e i suoi, dall’altra Albano, Ceglie, Capasso, Carlo Fucci (già segretario dell’Associazione nazionale magistrati ritenuto vicino a Mastella) e Silvio Marco Guarriello. Quasi tutti i magistrati orientati a sinistra. I primi sono considerati vicini alla corrente Movimenti riuniti – articolo 3 (Cimmino è appena stato eletto nel consiglio giudiziario del distretto napoletano) e ad alcuni esponenti di rilievo della Direzione distrettuale antimafia di Napoli, in particolare all’ex sostituto procuratore Raffaele Cantone, che nei giorni scorsi ha ricevuto un invito del Pd a candidarsi come presidente della Provincia di Napoli, offerta rifiutata.
I secondi sono quasi tutti iscritti a Magistratura democratica e sarebbero più autonomi rispetto al capoluogo. Come il nuovo procuratore Corrado Lembo che, la settimana scorsa, in una riunione riservata alla procura generale, ha discusso sul rispetto delle competenze con il collega della Dda Franco Roberti.
Sullo sfondo di questa guerra fra toghe ci sarebbe una faida interna al centrosinistra campano. Un legame con la politica che, se negli esposti è molto sfumato, nei corridoi della procura emerge rumorosamente. Secondo alcuni, esisterebbe un gruppo che avrebbe operato «con finalità extraistituzionali» provando a proteggere il consigliere regionale diessino (ora Udeur) Angelo Brancaccio, arrestato nel 2007 su richiesta del pm Cimmino con l’accusa di aver incassato tangenti. Altri (anche in questo caso non vengono allo scoperto) assicurano che la verità è opposta: esisterebbe, si, uno schieramento, ma a difesa di quel De Franciscis, passato dall’Udeur al Pd, che nelle ultime inchieste, nonostante le accuse di un assessore pro¬vinciale e alcune intercettazioni (raccolte nella vicenda dei Mastella) ritenute dagli stessi investigatori «molto rilevanti», è sempre stato ascoltato solo come persona informata sui fatti. Nel fascicolo del capo degli ispettori del ministero, Arcibaldo Miller, sono finiti pure gli estratti catastali che dimostrerebbero come la moglie di Maffei, insieme con De Franciscis, fosse tra i proprietari delle cave che negli anni scorsi sono state sequestrate da Ceglie e Guarriello.
A questo rompicapo bisogna aggiungere un’altra tessera: Giacomo Caterino, 37 anni, docente universitario di economia politica, consigliere provinciale dell’Udeur e amico di Mastella. L’anno scorso è stato arrestato con l’accusa di falso ideologico e turbativa d’asta. Un’inchiesta da cui è partita quella sull’ex guardasigilli e la moglie. Uscito dal carcere Caterino ha denunciato Maffei, Cimmino, il pm Paolo Di Sciuva e il giudice per le indagini preliminari Giuseppe Maccariello: «Quei signori avevano in mano le carte che dimostravano che i reati di cui mi accusavano andavano contestati ad altri, per esempio a De Franciscis» sostiene il consigliere, che questi attacchi li ha formalizzati.
Per questo nei giorni scorsi è stato ascoltato a Roma dal pm Racanello. E anche se la vicenda non gli ha tolto il gusto della battuta («Quando ero in prigione sono venuti a farmi visita i vertici regionali del partito. Sei mesi dopo ho potuto ricambiare la cortesia»), per lui l’Udeur in Campania è finita al centro di un complotto: «Ora, forse, qualcuno ci spiegherà se certe responsabilità erano da ascrivere a noi o a chi governa il nostro territorio con la protezione di procure amiche».
Da Panorama del 9 ottobre 2008

mercoledì 1 ottobre 2008

Ecco la verità sulla caduta di Prodi

Capisco la sorpresa di quanti – ma non è il mio caso –, hanno appreso, leggendo sui giornali le parole di Romano Prodi (come mai solo Avvenire e Messaggero le hanno riportate?), ciò che andavo ripetendo da mesi. E cioè che, dietro la caduta del suo governo, c’era in realtà un preciso disegno politico: mandarlo a casa per liberare la poltrona di Palazzo Chigi. Cosa che sarebbe potuta avvenire solo prima che l’esecutivo cominciasse a raccogliere i frutti e i consensi per la sua politica attenta alle istanze dei più deboli. Insomma, come ha detto Prodi, il governo sarebbe caduto comunque, era solo questione di giorni. La verità, finalmente, comincia a venir fuori e trova autorevole conferma proprio nelle affermazioni dell’ex presidente del Consiglio. E’ la prova che nel centro-sinistra c’era chi lavorava da tempo per affossare un governo nei cui confronti – lo voglio ricordare – fino al 16 gennaio sono stato sempre lealissimo. Ma è anche la conferma che, come il Professore di Bologna, anch’io in realtà sono stato vittima e non autore di un “delitto politico” premeditato.

giovedì 31 luglio 2008

Chi crede nel Centro, si faccia avanti

Sarà, forse, perché respiriamo già da tempo l'aria delle vacanze, ma vedo, dalle tante e-mail che mi giungono, che il clima, e non solo quello meteorologico, è cambiato. Molti, dopo l'ondata giustizialista che ha travolto me e il mio partito, si stanno rendendo conto che sono stato vittima di un disegno che, attraverso la mia modesta persona e il mio piccolo movimento, aveva in realtà come obiettivo la caduta del governo Prodi. E tornando alle numerose lettere che continuano ad affollare la mia casella di posta, mi rendo conto che attorno all'Udeur si stanno ricreando fermento e fiducia che lasciano ben sperare per il futuro. Da mesi sono impegnato a ricostruire, partendo dal territorio, un partito che a molti sembrava scomparso. Così non era e non è. Agli amici, ai simpatizzanti di ieri e di oggi, a quanti momentaneamente avevano lasciato il partito ma senza per questo cambiare bandiera, chiedo di mettersi personalmente in gioco per dare il proprio contributo alla costruzione di un Centro politico moderato in grado di dare voce e visibilità al Sud dimenticato, al ceto medio tartassato, al mondo dei giovani precari, a quelle famiglie che faticano ad arrivare alla fine del mese. E, augurando a tutti buone vacanze, invito chi crede in questo progetto a mettersi in contatto con noi sul mio blog o tramite il sito del partito www.popolariudeur.it. Ci attendono impegnativi appuntamenti, a partire dalla tornata amministrativa della prossima primavera e dalle Europee del 2009.
Clemente Mastella

mercoledì 21 maggio 2008

Un Saladino per Di Pietro

E bravo Di Pietro. Leggo proprio oggi sul settimanale "Tempi" che l'ex poliziotto di ferro, l'ex pm di "mani pulite", l'ex candidato di Berlusconi al ministero degli Interni, l'ex ministro per le Infrastrutture, quello per intenderci che con Grillo manifestava sulle piazze contro tutto e contro tutti, solidarizzando con il pm di why not? Luigi De Magistris - si, proprio lui - ha più volte ricercato contatti con quel Saladino per il quale - senza alcuna responsabilità come hanno sentenziato i giudici - io sono finito invece nel tritatutto mediatico, giudiziario e politico, di cui il buon Di Pietro è stato grande megafono.
Allora - mi chiedo - è un delitto tutto ciò? Assolutamente no. Ma se Di Pietro ritiene che lo sia, mi attendo che smentisca le ricostruzioni giornalistiche del settimanale oppure si dimetta da quel ruolo di finto moralizzatore con il quale, soffiando spregiudicatamente sul fuoco del populismo e del facile qualunquismo, cerca di tirare acqua al suo mulino.
Diciamo che su questo integerrimo fustigatore, per quanto mi riguarda, continuano ad addensarsi ancora parecchi interrogativi ai quali non mi sembra abbia mai dato risposte esaurienti. Per esempio: Perchè, dopo aver assestato un duro colpo a tangentopoli si è dimesso? Perché e con quali finalità è entrato in politica? Quali sono i motivi che lo hanno portato, unico partito fra quelli del centro-sinistra, ad essere graziato dal PD che, consentendogli l'apparentamento, gli ha permesso di superare la tagliola della legge elettorale?
Dubbi, tanti dubbi. E che suscitano inquietanti interrogativi.