giovedì 17 gennaio 2008

Il testo delle mie dimissioni

Onorevoli colleghi, vi parlo col dolore nel cuore di chi sa che a causa

del suo impegno pubblico, delle sue profonde convinzioni e delle sue
idealità, si trova ad essere colpito negli affetti più profondi,
incredulo ed impotente. Ho provato, ho creduto, ho sperato che la
frattura tra politica e magistratura potesse essere ricomposta,
attraverso la dialettica, il confronto, il dialogo, l’incontro. Ma devo

prendere atto che nonostante abbia lavorato giorno e notte per
dimostrare la mia credibilità e la mia buona fede di interlocutore
affidabile per il mondo della giustizia, oggi mi accorgo che sono stato

invece percepito da alcune frange estremiste come un avversario da
contrastare, se non addirittura un nemico da abbattere.
Ho creduto infatti, pur consapevole della estrema difficoltà di quella
che alcuni reputano una missione impossibile, di dover rifiutare la
pericolosa tentazione di chi vorrebbe indirizzare la Giustizia italiana

verso la palude della rassegnazione e dell’impotenza, suggerendo
l’ineluttabilità di un conflitto perenne e di disfunzionamento ormai
cronico e irreversibile. L’illusione di poterci riuscire mi ha fatto
fare ogni sforzo, con un Parlamento mai così fragile e incerto in tutta

la mia trentennale esperienza d’assemblea. Ho avuto l’illusione di
poter riformare l’Ordinamento giudiziario in accordo con la
Magistratura, nell’interesse del Paese. Ho avuto l’illusione che le
soluzioni trovate per migliorare l’efficienza, motivare il personale,
ridurre costi ed esposizione debitoria, nonostante al mio arrivo a Via
Arenula non avessi trovato né la benzina per le macchine, né la carta
per i fax dei magistrati, ho avuto l’illusione, lo ribadisco, che tutto

ciò potesse essere prova della mia onestà intellettuale e assenza di
secondi fini. Ho avuto l’illusione di poter affermare con convinzione e

senza riserve il valore, fondamentale del nostro assetto
costituzionale, del principio dell’esclusiva soggezione de giudice alla

legge.
Soltanto, sottolineo, soltanto alla legge, ma almeno alla legge. In
mancanza di ciò, credevo e credo che è la base stessa su cui poggia
l’indipendenza della magistratura ad essere messa a rischio. Queste mie

convinzioni, queste mie illusioni, oggi trovo frantumate contro un muro

di brutalità, di indisponibilità, di chiusure e di egoismi di parte. Ho

dedicato tutte le mie energie nell’ultimo anno per affermare e
dimostrare che ci si poteva riuscire, che tra i poteri e le istituzioni

il dialogo avrebbe premiato, convinto come sono, nella mia coscienza
ispirata dalla fede, che solo nell’incontro e nella relazione con
l’altro si trova la soluzione. Oggi qui le mie certezze vacillano, e
con esse la mia storia di politico aperto al dialogo e all’altro si
trova in una crisi profonda.
Non si illudano coloro che confidano nello sconforto, coloro che
credono che le ferite sul piano personale e sentimentale possano essere

determinanti per farmi cambiare idea e percorso. Lo sapevamo, ce lo ha
insegnato Aldo Moro, che non siamo chiamati a preservare un ordine
semplicemente rassicurante. Lo sapevamo che nello sfidare l’ordinaria
grettezza saremmo potuti rimanere intrappolati nella palude degli
egoismi, delle diffidenze e delle cattiverie. Mentre ero dedito a
questo lavoro, modesto certo, ma pieno di granitica sincerità, è
iniziato un tiro al bersaglio nei miei confronti, quasi una ostinata
caccia all’uomo. Sono state utilizzate centrali d’ascolto con corsie
privilegiate ogni qualvolta nel computer si accendeva la spia - mai
parola fu più usata a proposito - che segnalava il mio nome o quello
dei miei amici. Siamo così diventati in quel di Potenza un partito di
tale rilevanza quanto ad intercettazioni subite, da poter superare
agevolmente la soglia di qualsiasi percentuale elettorale. Per fare ciò

è bastato che un piccolo nucleo di magistrati, per alcuni dei quali
l’integrità è contestata da altri magistrati dello stesso distretto,
innescasse un congegno violento, privo di obiettivi e riscontri nella
realtà, confondendo ciò che è tipico della politica e che rivendico
alla politica e dei suoi conflitti interni, dei suoi riti, con una
colpevole quanto inesistente violazione di norme. È bastato puntare al
cuore con un pregiudizio che desse l’idea di un sistema di potere da
combattere, travisando realtà e norme penali, per interrompere il mio
lavoro. Avevo resistito nel fortino personale, saldo nelle mie
convinzioni, a tutte queste corsare scorribande contro di me nella mia
vita personale e politica con l’intento dichiarato d creare panico e
terrore tra i miei sostenitori i cui ideali ad ispirazione cristiana
forse ancora creano motivo di preoccupazione politica. Ora però,
rispetto a componenti di un ordine che disinvoltamente hanno il
vantaggio di poter fare e di poter decidere dei tuoi destini
prescindendo dalla tua volontà e dai tuoi comportamenti; rispetto
all’imprevedibile apertura di varchi che toccano i mei affetti, la mia
famiglia, mia moglie, getto la spugna. È la prima volta, confesso, che
in vita mia ho paura. Ho combattuto la mia battaglia fin quando il
combattimento era alla pari e non arrivavano colpi bassi e imprevisti,
perché dalla tua condotta politica nulla lasciava presagire un
concertato volume di fuoco per distruggere la tua persona, la tua
dignità, i tuoi valori. Non fosse per il fatto che Patior ergo sum,
tutto mi appare irreale, innaturale fuori da ogni logica che si
componga con la vita politica fatta anche di sconti, di rivalse, di
umori, di indicazioni, di raccomandazioni lecite solo per alcuni
ordini, illecite per la classe politica. Non è possibile che il potere
di vita e di morte pubblica possa appartenere a quel pacchetto di
mischia giudiziario che in questo caso senza averti ascoltato né
chiesto spiegazioni, decreta la tua condanna in attesa di un giudizio
che non si sa né come né quando arriverà. Questo criterio di
valutazione ideologica appartiene ad una componente minoritaria della
magistratura. Si tratta di un neogiustizialismo che ha fatto capolino
negli ultimi tempi della storia giustiziaria del nostro Paese e che
decreta l’umiliazione umana, mediatica e politica. E qualora questo
pacchetto di mischia si fosse sbagliato? Chi ripagherà un domani la mia

famiglia e la mia famiglia politica di questa umiliazione subita?.
E se eventualmente salissero in quota responsabilità per un opera di
demolizione eterodiretta tesa a scardinare il presunto sistema di
potere, chi ne risponderà?. Oggi a me in questa giornata molto
particolare mi è dato solo prendere atto di questa scientifica trappola

che mi è stata tesa in modo vile. Così come è altrettanto vile prendere

in ostaggio mia moglie cu voglio un mondo di bene e a cui rinnovo il
mio affetto che si esalta in una vita in comune e che sperimenta anche
così, soffrendo, il valore della famiglià. Per questo non posso
consentirmi nè torsioni nè movimenti che apparirebbero come irregolari
e non in linea con il rispetto che si deve ad un giudizio di cui si è
serenamente in attesa. Nessuno si illuda, però. Da altre postazioni
continueremo a combattere la nostra battaglia, con un’esperienza e
delle ferite in più, consapevoli di essere arrivati al vero nodo della
democrazia - lo scontro sotterraneo e violentissimo tra i poteri -
avendo subito ora, da ministro delal Giustizia, quello che dopo 30 anni

di specchiata carriera politica non avevo mai subito e non avrei mai
immaginato. Continuerò, insieme a tutti coloro che vorranno crederci, e

che avranno la speranza di chi, come me, è cresciuto ed ha imparato ad
essere certo del bene, quanche quando, colpiti dall’ingiustizia e dalla

violenza lo si intravede molto, molto in lontananzà. ‘Mi dimetto dunque

perchè tra l’amore per la mia famiglia il potere scelgo il primo. Avrei

potuto operare sottili distinguo.
Mi dimetto per essere più libero umanamente e politicamente, mi dimetto

sapendo che un’ingiustizia enorme è la fonte inquinata di un
provvedimento perseguito con ostinazione da un procuratore che
l’ordinamento manda a casa per limiti di mandato e di questo mi
addebita la colpa. Colpa che invece non ravvisa nell’esercizio
domestico delle sue funzioni per altre vicende che lambiscono suoi
stretti parenti e delle quali è bene che il Csm o altri si occupino. Mi

dimetto riaprendo la questione delle intercettazioni a volte
manipolate, a volte estrapolate ad arte, assai spesso divulgate senza
alcun riguardo per la riservatezza dei cittadini. Mi dimetto perché
ritengo, anche dopo la mia dolorosa esperienza, che vada recuperata la
responsabilità dei magistrati, sulla scorta della giurisprudenza della
corte di giustizia del Lussemburgo. Ho trovato nel corso della mia
attività istituzionale una stragrande maggioranza di magistrati seri e
imparziali, ma mi sono imbattuto anche in alcuni che fanno del
pregiudizio, soprattutto contro la politica ed i politici, la ragion di

vita della loro attività professionale. Come ci si può però difendere
da questi il cui potere di interdizione, di delegittimazione è senza
confini?. Mi dimetto per senso dello Stato. Lo faccio senza
tentennamenti. In fondo un ministro della Giustzia che non è in grado
di difendere la moglie dall’assalto violento ed ingiusto, di accuse
balorde e non riesce ad evitarle l’arresto non è certo in grado di
inquinare prove perchè è talmente risibile il suo potere che lo si può
lasciare tranquillamente al proprio posto. Mi dimetto per riaprire
dunque una grande questione democratica. Anche perchè, come ha detto
Fedro: “Gli umili soffrono quando i potenti si combattono”.